«Ricordo i giornali, che morivano come immense falene»
Ipotesi per una tesi
Può funzionare, come primo capitolo, “Il villaggio globale e le sue tensioni”? Forse suona già sentito.
Oppure: “Gli odori delle case in Occidente, tra XX e XXI secolo”. Dovrebbe trattarsi proprio di un inventario degli odori, puzze e profumi,
che sono nostri al punto da non riconoscerli più. Panni appena stesi in camera da letto (case senza balcone). Cane fradicio dopo una passeggiata sotto la pioggia (case senza giardino).
Cene riscaldate al microonde. Pesci e carni panate mentre si scongelano. Odore di piedi nelle camere da letto di figli adolescenti. Ecc.
Forse, invece, bisognerebbe cominciare dalla magia dei numeri. Dall’elettricità che produceva in noi l’idea di questo numero, 2000. Un anno vale un altro, e la conta del tempo è un pasticcio che fanno gli esseri umani, però era davvero irresistibile il fascino di questo passaggio.
Il 31 dicembre 1999 i giornali di tutto il pianeta erano carichi di pronostici e di speranze. Era stato accoltellato George Harrison. In Olanda, come una novità assoluta, andava in onda il primo “Grande Fratello” televisivo. Si discuteva di un possibile collasso universale dei computer, messi in crisi dai due zeri, il “Millennium Bug”. Si temevano atti terroristici.
«New York – …la città sarà messa in stato d’assedio. New York vivrà ore di tensione e di paura. Due milioni di persone sono previste stasera a Times Square – più di ogni altro luogo al mondo – e almeno un miliardo di telespettatori di tutto il pianeta seguirà la discesa della palla luminosa, che segnerà il trapasso del secolo e del millennio. E sono proprio questi aspetti quantitativi e simbolici che potrebbero attrarre il terrorismo internazionale, che a Manhattan, nel febbraio 1993, fece tremare le torri gemelle del World Trade Center, uccidendo sei persone e ferendone mille».
Sfogliare vecchi giornali dà la sensazione di toccare con mano il muro che ci divide dal futuro. Le cose avvenute, vengono registrate e in qualche modo neutralizzate. Quelle che stanno per avvenire sono invece lì, dall’altra parte di un muro: immaginate, desiderate o temute. Accadranno. Le nostre previsioni non hanno alcun peso.
Per raccontare davvero il passato, si dovrebbe azzerare ogni volta la competenza del dopo, il senno di poi; bisognerebbe poter sprofondare nella cecità, nell’incapacità di prevedere il futuro della notte di ogni possibile Millennium bug e di tutte le notti.
Oppure, potrei parlare della crisi dei giornali.
Non c’è stato un solo giorno di questo decennio in cui non li abbia avuti per le mani. L’odore di inchiostro si spargeva nello zaino di scuola, macchiava le copertine bianche dei manuali. “Hai una specie di segno nero sul viso!”
“Io?”
I giornali sono stati una preghiera. E non era una questione di informazione, non solo. A volte, sfogliando un quotidiano, le notizie le sapevo già tutte, oppure le dimenticavo e non me ne importava niente. Era, soprattutto, una questione di carta piegata bene. Una questione di mattina presto.
Per ogni giorno della mia vita cosciente, dall’inverno del terribile 1993, c’è stato un giornale. C’è stata, perfino al tempo in cui capivo troppo poco, almeno una pagina tirata via, c’è stato un ritaglio. Stipavo tutto in un armadietto di vimini che non voleva stare chiuso. Poi si spalancava all’improvviso e a quel punto il suo alito di inchiostro invadeva la mia camera. I giornali stavano schiacciati l’uno sull’altro, in disordine, necessari e ciechi. I giornali di oggi non sanno niente di domani. Eppure, l’uno accanto all’altro, come piccole tessere di verità o di ignoranza, di approssimazione (alla verità assoluta, all’ignoranza assoluta), di bugie da smentire dopodomani, di previsioni sbagliate fanno il mosaico in perenne rovina della storia.
Tratto da Dove eravate tutti, Paolo Di Paolo, Feltrinelli, 2011.
1 settembre 2011