Dove eravate tutti

Dove eravate tutti

Quel che resta del Paese di “colpo grosso”. Il romanzo italiano sui vent’anni del Cavaliere

 Di Antonio Tabucchi, La Repubblica, 7 settembre 2011

 

“Dove eravate tutti” di Paolo Di Paolo ha come protagonista uno studente universitario alle prese con l’impossibile stesura di una tesi sul berlusconismo.

L’autore, nato nel 1983, ha già al suo attivo una folta produzione narrativa e di saggi.
Un affresco composto di notizie di giornale, foto, lacerti di realtà della nostra epoca.

Mentre sento che in Italia, paese dell’eterno ritorno, si è ricominciato a piangere sull’imminente “morte del romanzo” che mezzo secolo fa costituì il tormentone della neo-avanguardia di allora, vedo con piacere che i giovani (e anche i meno giovani) scrittori italiani continuano a scrivere romanzi. O qualcosa che appartiene al genere che per convenzione definiamo “romanzo” e che naturalmente non ha niente a che vedere con la creatura di cui si piange la futura scomparsa, essendo costei defunta da tempo per cause naturali. Una modesta creatura il cui avvincente incipit (parlo per metafora) suonava all’incirca così: «La Marchesa uscì di casa alle cinque in punto». Anche se il feuilleton di tipo ottocentesco basato sull’uscita della Marchesa continua ad occupare i banchi delle librerie e le sdraio degli stabilimenti balneari (ma questa è una legge dell’industria del consumo, che per fare un solo prodotto di qualità deve produrre almeno una tonnellata di scorie), coloro che oggi scrivono buona letteratura sanno che la Marchesa che uscì alle cinque non ha più fatto ritorno, ed è inutile stare ad aspettarla. Ed è curioso notare come nonostante lo stantio ambiente culturale italiano, o forse proprio in reazione ad esso, la giovane letteratura italiana (intendo della generazione dei trentenni e dei quarantenni) sia una delle più nuove e vivaci d’Europa; una letteratura che se l’avessero i francesi e gli inglesi riuscirebbero a imporla nel mondo con la forza di una esportabilità linguistica che noi non abbiamo. Qualche tempo fa l’italiano era almeno una lingua di cultura; ora, dopo la sistematica distruzione della cultura, non è più neppure questo. E altro che signore marchese che uscirono di casa alle cinque: qui si tratta di un paese intero che vent’anni fa s’imbarcò su una nave da crociera verso lidi ignoti, facendo perdere le proprie tracce ai radar dei “politologi” e degli “statistici” che ancora la cercano invano.

‹‹Mi perdoni se entro nel campo personalissimo delle mie visioni, se non addirittura delle mie allucinazioni. Mi creda, mi è sembrato di averla davanti agli occhi: una nave da crociera. Il pensiero mi ha accompagnato fino a notte e non mi ha ancora lasciato: l’Italia, per vent’anni, è stata una nave da crociera. Non le pare? Con i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar. La vacanza dev’essere cominciata con una cosa che, per età, non riesco a ricordare per memoria diretta. Ne hanno mandati in onda alcuni passaggi l’altra sera. Si chiamava Colpo grosso, lo trasmettevano su Italia 7, gestione Fininvest››.

Con questa citazione, che è a p. 136, credo di aver toccato il cuore del romanzo di Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, appena uscito presso l’editore Feltrinelli (pagg. 224, euro 15). Paolo Di Paolo è un giovanissimo (nato nel 1983), ma ha già al suo attivo una produzione saggistica e narrativa insolitamente folta per la sua età. E se non posso definire questo romanzo un esordio, esso è certo un felice ingresso in una narrativa impegnativa e matura, anche in virtù del complesso disegno con cui è costruito, con una storia che fa da sinopia a un affresco composto di notizie di giornale, di fotografie, di lacerti di realtà politico-sociale, di mitemi attuali, di idioletti epocali, di ciò che costituisce non soltanto il sapore ma lo Zeitgeist dell’epoca nostra.

L’autore appartiene a quella generazione che dall’infanzia a oggi in Italia non ha conosciuto altro che il sistema tolemaico di quell’imprenditore brianzolo proveniente da un¿associazione eversiva che la stampa italiana, con un anglicismo fuori luogo definisce “il premier”. E che ha come “seconders” (a questo punto ci sta bene) boss mafiosi, corruttori di giudici, sub-agenti dei servizi segreti, giornalisti al soldo, sicari, cardinali, magnaccia e cocainomani. Un tipetto che di quella nave da crociera, dove dapprima faceva l’intrattenitore, è divenuto il capitano.

‹‹Saliti sulla nave da crociera, abbiamo preso il largo. Diretti dove? Era impossibile capirlo. Ma siamo rimasti a bordo per vent’anni. Le vacanze erano finite, veniva da piangere a tutti, come in una pubblicità. Però qualcuno deve aver detto che si poteva restare. Si poteva non scendere più. Lui avrebbe continuato a intrattenere, a sorridere, a cantare. Un giorno, quando sembrava che tutto sarebbe durato così per sempre, il Capo sarebbe sceso›› (p. 137).

Ecco per dove era partita la nave da crociera su cui si era imbarcata l’Italia: verso presunte ‹‹donne di sogno, banane e lamponi›› che l’intrattenitore, Joker di un fumetto scadente, aveva promesso a tutti, ma proprio a tutti, firmando un “contratto” televisivo seduto a una scrivania di ciliegio di fronte a un presentatore che fingeva di essere il notaio. Il ventennio berlusconiano, mascherato di pinzilacchere televisive, di bandane in ville cafone, di dittatori russi che venivano dall’amico in Sardegna con un incrociatore militare, di dittatori libici che venivano dall’amico a Roma con le loro amazzoni, di partouzes con minorenni – se tutto questo è sembrato uno spettacolo di circo o un brutto sogno, in realtà è successo davvero: è stata un’epoca truce e funebre che ha scavato gallerie oscure nelle coscienze degli italiani. Ma il romanzo di Paolo Di Paolo non è tanto un romanzo sul regime di Berlusconi, quanto un romanzo sulla fine di un regime, sulla malinconia che lascia nell’animo di chi l’ha vissuto, sulla penombra (o oscurità) che abbiamo attraversato, sul desolato paesaggio del day after.

‹‹L’aria era cambiata. Sulla nave da crociera, le luci erano rimaste accese. E attivi i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar. Ma c’era come un senso di smarrimento. Un’ansia strana si sarebbe comunicata di passeggero in passeggero. L’equipaggio non era in grado di fornire alcuna indicazione. Le luci restavano accese, notte dopo notte. Ma i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar sembravano più tristi e cominciavano a svuotarsi. Le feste c’erano ancora, ma come svogliate. A muoversi – in modo scomposto e con le camicie sudate e le pance e i sorrisi un po’ ebeti – erano ormai quasi solo alcuni vecchi amici del Capo. I passeggeri, loro cominciavano ad annoiarsi›› (p. 137).

Ma il romanzo non è solo questo, ha anche una sua storia amaramente divertente che lo fa leggere con piacere, e che ovviamente non riassumo. E il cui filo conduttore è un fait divers, le disavventure di un insegnante di un liceo romano al primo anno di pensione, il povero professor Tramontana, che perde letteralmente la tramontana e risolve di vendicarsi dagli sberleffi subiti da un allievo che gliene ha fatte di tutti i colori investendolo con l’automobile. È un romanzo che potrebbe sembrare minimalista ma che poi non lo è, che potrebbe sembrare di formazione ma che poi non lo è, che potrebbe sembrare autoreferenziale e che poi non lo è. Il protagonista, il Tramontana figlio, per il quale scatta un’immediata simpatia, è una specie di Giovane Holden all’incontrario, sempre smanioso di essere amato, che vorrebbe dare ordine a un mondo che ordine non ha. C’è poi un’affollata solitudine, ci sono dei genitori ai quali sono state sottratte le categorie del mondo in cui vivevano prima e che ora vivono in una dimensione parallela, una sorta di “Stringa”. C’è un repertorio dello stupidario collettivo ormai inter-generazionale, perché il Nulla in cui tutti si trovano a vivere non è decifrabile da nessuno, e ognuno a suo modo lo vive alla Bouvard e Pécuchet, limitandosi a sillabarlo come se doppiassero la televisione. Il giovane Tramontana vorrebbe concludere i suoi studi universitari con una tesi in Storia moderna sul berlusconismo, ma il cattedratico nicchia e lo spedisce dall’Assistente. E l’Assistente (così chiamato in modo categoriale) a sua volta si tira indietro perché si è candidato nelle liste del Partito democratico e una tesi del genere gli pare controproducente per la sua carriera politica.

Ma in fondo non è questo il vero motivo della tesi mancata. La verità è che il berlusconismo è un “vuoto”, un buco nero, e sul vuoto non si può scrivere una tesi: esso non è interpretabile, sfugge all’esegesi. Dove eravate tutti (senza il punto interrogativo, come in Cosa cambia di Roberto Ferrucci) è la tesi sul vuoto di un ventennio che il figlio del professor Tramontana non è riuscito a scrivere per l’esame universitario. Ma che Paolo Di Paolo è riuscito a raccontare in un romanzo rendendolo significante e tangibile con il talento di un narratore di razza.

Dove eravate tutti, Feltrinelli 2011

7 settembre 2011

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