Per definirsi come scrittore, pesca almeno cinque o sei aggettivi. Emotivo, prima di tutto. Poi: teatrale, drammatico, psicologico, sessuale, spirituale. Tutto – aggiunge – fuorché intellettuale. «Non ho mai letto romanzi intellettuali, e di sicuro non ne scrivo» chiarisce subito John Irving, perentorio: il tono di un pugile gentile. Abbandonato anni fa il ring, è scrittore a tempo pieno: «Scrivo tutto il giorno ogni giorno. Ho più romanzi da scrivere di quanto sia il tempo che ho davanti per scriverli». È già alle prese con il prossimo – una storia di fantasmi – mentre in Italia esce l’ultimo, già pubblicato in mezzo mondo. Si intitola Viale dei Misteri, è un viaggio prodigioso, lungo seicento pagine. Uno scrittore cinquantenne, Juan Diego, appena un po’ confuso dai farmaci beta-bloccanti che assume con disinvoltura, vola dall’America verso le Filippine per ritrovare un pezzo della sua infanzia messicana. Quando viveva in una discarica, salvava i libri dall’inceneritore, e scopriva a ogni passo – con una sorellina quasi veggente al fianco – qualcosa di miracoloso. Anche nella disperazione e nella miseria più nera. Pochi scrittori sono “dickensiani” come Irving. Orfani, figli illegittimi, ragazzini “atipici”: il bambino Homer nella comunità raccontata in Le regole della casa del sidro, diventato film premio Oscar, Owen nel commovente Preghiera per un amico, Billy e la sua “diversità” nel più recente In una sola persona. Irving continua a esplorare il paesaggio turbolento dell’infanzia e dell’adolescenza – la lotta libera con il mondo adulto, la ricerca di una possibilità di riscatto.
Nella vita dei suoi personaggi, l’infanzia ha sempre un ruolo centrale. Verrebbe da pensare che sia così anche per lei.
«Nel tipo di storie che mi interessano, i personaggi sono plasmati da qualcosa che accade nell’età del desiderio – quando il desiderio prende forma in noi. Ma se lei dice “penso sia così anche per te”, be’, non proprio. Onestamente, non saprei tirare fuori esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza che mi abbiano plasmato o che abbiano avuto un effetto traumatico. Di sicuro, le cose accadute a quell’età, come per chiunque, hanno contribuito alla mia crescita. Ma niente di disastroso, di sconvolgente, o di realmente duraturo. Ho avuto un’infanzia relativamente pacifica e poco movimentata. Noiosa, davvero. Ciò che passa per la mia testa, ciò che accade nella mia immaginazione ha sempre avuto più importanza rispetto alla mia storia personale. E se ho scelto di dare importanza all’infanzia e all’adolescenza nei miei romanzi, è perché questo produce buone storie. Melville teneva incollata allo scrittoio una frase di Schiller: “Rimani fedele ai sogni della tua giovinezza”. Be’, penso a questo come a un consiglio di scrittura. Non si applica necessariamente alla vita reale di tutti. Non alla mia, comunque».
L’idea di un ragazzino che pesca i libri dalla spazzatura è molto bella. Leggere può essere anche un modo per sopravvivere?
«Sicuramente non sono il solo a temere che leggere sia un’abitudine in via di estinzione. E questo mi pareva un buon momento per raccontare la storia di un bambino che impara da solo a farlo, salvando libri dal fuoco. La lettura è sacra. Fare in modo che un bambino legga è fondamentale. Guardi cosa è successo, politicamente, negli Stati Uniti. Solo una popolazione scarsamente istruita avrebbe potuto eleggere Donald Trump. Solo la mancanza di istruzione può convincere i poveri e la classe media a pensare che i repubblicani siano davvero interessati a loro. Questo è l’effetto della poca lettura: una popolazione facilmente ingannabile. Se la gente smette di leggere, smette di pensare. Leggere è l’unico modo per sopravvivere, l’unica forza che abbiamo per resistere alla tirannia. Trump è impegnato a vendere odio e xenofobia – il fascismo, in altre parole – a una popolazione troppo ottusa per capire meglio. Non sto esagerando».
I beta-bloccanti bloccano i ricordi del protagonista del romanzo. C’è una reale possibilità di sbloccarli? Senza essere scrittori, intendo.
«Ho i miei dubbi sul valore della memoria. È sopravvalutato. C’è una battuta, in Preghiera per un amico: “Tu pensi di avere un ricordo, ma lui ha te”. Questo è un modo per dire: non fidarti della tua memoria. Gli scrittori sono ossessionati dalla memoria; abbiamo bisogno di ricordi, ma ci ingannano. Quando stavo scrivendo Le regole della casa del sidro, ho dovuto studiare parecchia medicina, ed ero certo che avrei commesso molti errori. Ho dato da leggere il manoscritto a diversi medici, e ho scoperto di aver sbagliato piccolissime cose. Per il resto, ero cresciuto lavorando in un frutteto. Conoscevo il frutteto, o credevo di conoscerlo. E invece ho fatto un sacco di errori sulla coltivazione delle mele. Fortunatamente, un buon amico coltivatore ha letto il romanzo e li ha scovati. Da allora, non mi sono più fidato della mia memoria, o del valore (nella finzione) dell’esperienza personale. I nostri ricordi mentono».
«La religione sta a metà fra la paura e il sesso». È una frase che il suo personaggio sottolinea. Lei è d’accordo?
«Penso che ci siano in giro un sacco di cazzate mistiche sulla religione e sul sesso; c’è un modo “mitologico” di vedere entrambe le cose, di gonfiarne il significato, di rivendicarne un’importanza simbolica. Però c’è anche una gran quantità di bellezza negli occhi di chi le guarda. Le persone hanno sentimenti molto forti in materia e sono riluttanti a cambiare idea. Ma in Viale dei Misteri è con un occhio ironico o malizioso che viene scrutato ciò che riguarda il sesso e la religione. Mi diverto un po’ con quanto la gente prenda l’uno e l’altra terribilmente sul serio».
Secondo Juan Diego, che è uno scrittore, scrivere esplicitamente di sesso è una scelta politica. Lo è anche per lei?
«Sono testimone delle recenti elezioni in Alabama, dove un pedofilo è stato quasi eletto al Senato degli Stati Uniti, ma era un pedofilo ultra-religioso, e molte persone ultra-religiose lo hanno sostenuto, spiegando che non avrebbero mai potuto sostenere il suo avversario, in quanto liberale in materia di aborto. Ecco che persone religiose, contrarie a ciò che nuoce a un feto, non erano così preoccupate di proteggere da un pedofilo ragazzine di dodici o tredici anni. E le persone “religiose” come questa sono anche quelle più contrarie ai passaggi espliciti su questioni sessuali nei film o nei romanzi. Sì, scrivere esplicitamente di sesso è una scelta politica. Questi ipocriti devono impararlo: non conta la lingua che usi, conta quello che fai».
Nei suoi romanzi, la realtà non è mai solo quella che si vede. In Viale dei Misteri, il paesaggio messicano accentua la relazione con il miracoloso. Cos’è la trascendenza per lei?
«È impossibile trascorrere del tempo in Messico e non sentire la forza della fede popolare. Volevo stare dalla parte del credere, o della vera fede, mentre allo stesso tempo volevo condannare ciò che manca alla chiesa – qualsiasi chiesa, non solo la Chiesa cattolica romana. Le regole della chiesa sono stabilite dall’uomo; falliscono, ogni volta. Ho provato a creare una situazione in cui solo un miracolo avrebbe salvato Juan Diego. È un orfano nelle mani dei gesuiti; loro controllano il suo destino. E le uniche due persone che lo amano e vogliono adottarlo sono due gay: un prete fallito e il suo amante transgender. Non c’è possibilità che quei vecchi sacerdoti consentano che ciò accada, a meno che la Vergine Maria stessa non intervenga. E Maria fa esattamente questo. Versa grandi lacrime».
Questo romanzo sembra anche un inno alla capacità umana di non arrendersi. Secondo la sua esperienza, è possibile cancellare la paura?
«Scrivo di cose che non voglio accadano mai a me o a persone che amo. Non è possibile liberarsi della paura, o almeno non posso io. Non la perdo di vista. C’è sempre un momento che temo in ogni romanzo, una scena o un capitolo, o un evento, di cui non voglio scrivere: non voglio immaginarlo. Ma se quell’elemento spaventoso non ci fosse, non varrebbe la pena scrivere il libro».
Faccio a lei una domanda che c’è nel suo romanzo: «Quanto si può credere ai sogni di uno scrittore?».
«I sogni, come i ricordi, ci ingannano. Ma tutti gli scrittori sognano a occhi aperti nei romanzi, e i romanzi vengono dal sognare a occhi aperti. Non si può smettere di sognare, anche se i sogni sono fuorvianti. Più di quarant’anni fa, quando stavo scrivendo Il mondo secondo Garp, pensavo che il tema dell’odio sessuale sarebbe stato superato prima che avessi finito il romanzo. Ecco, quello era un sogno ingannevole. L’odio sessuale è ancora fra noi. Ho appena riscritto quel romanzo in forma di serie tv. Il mondo – be’, gli Stati Uniti, in ogni caso – ha bisogno di una serie tv femminista in questo momento, e Garp era un romanzo femminista. Purtroppo, non è affatto datato, come all’epoca temevo che diventasse».
Vanity Fair, 23 gennaio 2018